
WORKS DI GIORGIO VIALI
PERFORMANCE IBRIDA
SCRITTO PER CELESTE DALLA PORTA
DATA: 13/02/2025
Works: Sceneggiatura
Personaggi:
- IRIS (20 anni): Giovane attrice, energica e idealista.
- REGISTA (40 anni): Professionista affermata, pragmatica e leggermente distaccata.
- ATTORE (30 anni): Partecipa al terzo atto, ruolo secondario ma importante.
Atto I: Spogliatoio - Monologo
Location: Spogliatoio teatrale spartano. Sedie di metallo pieghevoli, specchi appannati, un angolo con vestiti stropicciati. Illuminazione fioca, soffusa.
Costumi: Iris indossa pantaloncini da boxe corti e un top attillato, entrambi neri. I guantoni da boxe sono rosa shocking. I capelli sono raccolti in una coda alta disordinata.
(Iris è seduta su una sedia, i guantoni appoggiati sulle ginocchia. È visibilmente agitata, si massaggia le tempie. Respira affannosamente.)
IRIS: (a voce bassa) "Lavoro... lavoro... Lavoro dignitoso... prospettive..." Ma che cazzo di lavoro è questo? Questa frase... questa fottuta frase che mi fa vomitare. "Lavoro dignitoso, prospettive di carriera..." Suona come un'ipocrisia gigantesca! È questo che voleva Trevisan? Questo qualunquismo? Questo mainstream nauseabondo? Lui, che si è sbattuto contro un muro di cemento tutta la vita, che ha lottato per strappare un po' di dignità a questa terra di merda... Lui che ha vissuto la precarietà, la disperazione, l'alienazione nel midollo osseo... Questa frase non rende giustizia al suo dolore, alla sua rabbia, alla sua verità nuda e cruda!
(Si alza di scatto, cammina nervosamente nello spogliatoio, colpendo con i guantoni una sedia.)
IRIS: Ho parlato con la regista, gliel'ho spiegato. Le ho detto che dobbiamo cambiare qualcosa, rendere più tagliente, più... sovversiva la frase. Ma lei non vuole sentire ragioni. "Il testo è sacro", ha detto. "Rispetta il lavoro dell'autore". Ma che cazzo di rispetto è questo? Questo non è rispetto, è una profanazione! È come se imbalsamassimo Trevisan, lo esponessimo in una teca di vetro, anziché dare voce alla sua rivoluzione!
(Si siede di nuovo, il volto contratto dalla frustrazione. Si guarda le mani, poi i guantoni rosa.)
IRIS: Che senso hanno questi guantoni rosa? Che cazzo ci faccio qui? In pantaloncini e top, come se dovessi fare una pubblicità di leggings sportivi? È una presa in giro, una parodia! È come se volessimo rendere leggero, carino, accettabile il suo grido di dolore. È un affronto alla sua memoria, un tradimento della sua eredità. Me ne vado. Sì, me ne vado.
(Si alza di nuovo, ma esita. Respira profondamente, cercando di calmarsi.)
IRIS: Respira. Respira... Da quanto tempo non lavoro? Sei mesi? Un anno? Non posso permettermi di perdere questo lavoro. Non posso... Ma forse... forse c'è qualcosa di giusto in questa parodia. Forse mi pare giusto prenderlo in giro, un po'. Prendere in giro qualcuno che si è sempre preso troppo sul serio. Quel corpo a corpo continuo con se stesso, con le parole, con il linguaggio. Quel maschilista, misogeno, sessista... sempre in lotta, fino all'ultimo respiro. Un uomo seppellito in un piccolo paese sconosciuto, perché nessun altro cimitero lo voleva.
(Iris rimane immobile, persa nei suoi pensieri, la luce si spegne gradualmente.)
Atto II: Spogliatoio - Dialogo
(Illuminazione più chiara. Iris e la Regista sono nello spogliatoio. La Regista porta un caffè in una tazza usa e getta.)
REGISTA: Iris, possiamo parlare? Sono preoccupata. Sembri agitata.
IRIS: Agitata? Sono infuriata! Questa frase, "Lavoro dignitoso, prospettive di carriera..." è un insulto al testo di Trevisan! È uno stupro della sua intenzione!
REGISTA: Iris, capisco la tua passione, ma è il testo che abbiamo, il testo che è stato scelto. Sono le parole di Trevisan, anche se potrebbero non corrispondere pienamente alla tua interpretazione.
IRIS: Ma è una scelta che banalizza tutto, che rende il messaggio inoffensivo! È la versione edulcorata, la versione per il pubblico di massa.
REGISTA: Il pubblico di massa è quello che abbiamo. Dobbiamo raggiungere il pubblico. Dobbiamo rendere lo spettacolo accessibile.
IRIS: No! Dobbiamo mantenere l'autenticità, la crudezza, il dolore di Trevisan! Dobbiamo scuotere le coscienze, non addormentarle!
REGISTA: Non stiamo parlando di censure, cara Iris. Stiamo parlando di scelte interpretative. E la mia interpretazione è questa.
IRIS: È una scelta che mi fa schifo! Che ci fa diventare degli ipocriti!
REGISTA: (con calma) Iris, hai talento, lo so. Ma a volte devi saper accettare le decisioni artistiche. Questo è un lavoro di squadra.
IRIS: Lavoro di squadra? Ma si tratta della memoria di un grande scrittore, di un uomo che ha dedicato la vita ad urlare la verità! Non è un gioco!
(La Regista sospira, si avvicina a Iris.)
REGISTA: Io lo rispetto, Iris, lo rispetto profondamente. Ma devo anche considerare l'aspetto pratico dello spettacolo.
(La Regista si allontana, lasciando Iris sola con i suoi pensieri. Luce si abbassa gradualmente.)
Atto III: Scena - Dialogo/Azione
(La scena è un palco spoglio, illuminato con luci fredde. Iris è sul palco, indossa ancora i guantoni rosa. L’Attore, vestito con abiti semplici, sta seduto su una sedia. La scena riprende l’azione del primo atto.)
(Iris inizia il monologo, ma questa volta la sua recitazione è diversa. Non è più solo rabbia, ma anche una malinconia profonda. Si nota un'accettazione forzata, ma non priva di sarcasmo.)
IRIS: (Recitando, ma con un tono diverso) "Lavoro dignitoso... prospettive di carriera..." (Ride amaro) Sì, certo. Lavoro dignitoso. Prosperità. E poi...? La tomba? Lo stesso destino di quel corpo spezzato, ridotto a cenere da questa stessa società? Un destino che non lo ha mai desiderato ma che lo ha abbracciato come unico lenitivo al dolore.
(L'Attore la guarda, un'espressione di comprensione sul suo volto. L’azione si conclude con Iris che toglie un guantone e lo lancia a terra con rabbia, per poi sedersi accanto all’Attore in silenzio. Si guarda intorno con un’espressione che coniuga sconfitta e malinconia. Luci si spengono.)
Nota: La scena finale può essere interpretata in diversi modi, a seconda della scelta registica. L'accettazione della situazione, la ribellione silenziosa, o la continua lotta interna. La scelta dei costumi e della scenografia deve riflettere questo continuo equilibrio sul filo del rasoio.
Titolo: "Works"
Genere: Drammatico
Location: Uno spogliatoio di una palestra di boxe, con specchi appannati, sacchi da boxe appesi e luci fluorescenti. Due panche in legno ai lati, una borsa da pugile a terra e poster di pugili famosi alle pareti.
Costumi: La protagonista indossa pantaloncini corti e un top da boxe, entrambi di un colore scuro, per contrastare con i guantoni da boxe rosa. I capelli sono raccolti in una coda di cavallo. Il trucco è minimale, con un accenno di rossetto rosa. La regista indossa un abbigliamento casual, jeans e una t-shirt, con una giacca leggera. L'altra attrice ha un look sportivo, ma più sobrio, con pantaloni lunghi e una maglietta a maniche lunghe.
PRIMO ATTO: MONOLOGO DELL'ATTRICE
(La scena si apre con l'attrice seduta su una panca, le gambe accavallate. I guantoni da boxe rosa sono appoggiati sulle ginocchia. Ha uno sguardo intenso, riflettendo su ciò che sta per dire.)
Attrice:
(Parlando a se stessa, con un tono di frustrazione.)
"Che cosa ci faccio qui? Non è forse il caso che me ne vada? La regista non capisce… Quella battuta… è tutto! (Si alza in piedi, inizia a muoversi nervosamente, gesticolando.) È come se stessimo per affrontare un incontro, e io so che, se cambio quel colpo, posso vincere. Ma lei… lei vuole che segua il copione come se fosse una legge. E io… io non posso.
(Si ferma, guarda il pubblico con occhi pieni di determinazione.)
Respira. Respira… Da quanto tempo non lavoro? Non posso permettermi di abbandonare questo spettacolo. Ma che senso ha prendere in giro qualcuno che si è sempre preso troppo sul serio? (Pausa, si lascia andare, si appoggia alla panca.)
Misogeno, maschilista, sessista… Vitaliano Trevisan ha lottato con tutto ciò. Non è solo un autore, è un pugile della parola, uno che ha sempre combattuto contro il degrado e la superficialità. E io… io sono qui, in pantaloncini corti e guantoni rosa. (Ride amaramente, si guarda intorno come se cercasse un senso.)
(Fa un passo verso il pubblico, con un tono più appassionato.)
L'arte deve essere sovversiva! Non può diventare mainstream! Se non ci battiamo per le parole, cosa rimane? Un corpo a corpo con il linguaggio, con il senso stesso di ciò che facciamo.
(Riprende a muoversi come se fosse in un incontro di boxe, colpendo l'aria con i guantoni.)
Ogni colpo, ogni frase, deve avere un peso. Non voglio essere legata a un copione che non sento. Non voglio essere ingabbiata "con un fottuto cappio intorno al collo". (Si ferma, guarda verso l'alto, come se cercasse una risposta.)
SECONDO ATTO: DIALOGO TRA L'ATTRICE E LA REGISTA
(La regista entra, con un'aria decisa. L'attrice è ancora in piedi, i guantoni da boxe in mano.)
Regista:
"Sei pronta per la prova? Dobbiamo rispettare il testo, è fondamentale per il messaggio che vogliamo trasmettere."
Attrice:
(Con tono infervorato.)
"Ma non lo capisci? Quella battuta cambia tutto! È come se togliessimo il cuore a quello che abbiamo costruito. È tutto così superficiale!"
Regista:
(Calma, ma ferma.)
"Celeste Malfatta ha scritto questo testo per un motivo. Ogni parola è lì per una ragione. Non possiamo cambiarlo."
Attrice:
(Gesticolando, la frustrazione cresce.)
"Ma il messaggio… il messaggio! Deve essere sovversivo! Non voglio che diventi qualunquista!"
Regista:
(Con sguardo penetrante.)
"Non è tuo compito decidere il valore del testo. Dobbiamo fidarci della scrittura. Questo è il nostro lavoro."
(L'attrice si ferma, cerca di prendere fiato, si siede sulla panca.)
Attrice:
(Sussurrando.)
"Magari ha ragione, ma non posso ignorare ciò che sento. Ho bisogno di lottare per questa voce…"
TERZO ATTO: IN SCENA CON UN'ALTRA ATTRICE
(Entrano l'altra attrice e la protagonista. L'atmosfera è tesa, entrambe si guardano con attenzione.)
Altra Attrice:
(Scherzando, cercando di alleggerire l'atmosfera.)
"Sei pronta per il tuo incontro? Sembra che tu stia per salire sul ring!"
Attrice:
(Sorridendo, ma con un velo di tristezza.)
"Sì, ma il mio avversario è più grande di quanto pensassi. Le parole… il senso di ciò che facciamo."
Altra Attrice:
(Sincera, appoggiandosi alla panca.)
"Non è facile. Ma siamo qui per questo, per combattere, per essere voci in un mondo che spesso non ascolta."
(Le due si guardano, condividendo un momento di comprensione profonda.)
Attrice:
(Con determinazione.)
"Allora facciamolo. Facciamo in modo che le nostre voci risuonino! Non possiamo permettere che questo diventi un gioco da ragazzi."
(Entrambe si preparano, pronte per affrontare il pubblico con la loro verità, mentre la luce si affievolisce lentamente.)
FINE
WORKS
Vitaliano Trevisan era uno scrittore di una lucidità incisiva e di un’ironia che non provocava semplici sorrisi, ma piuttosto risate taglienti. Era un osservatore acuto della realtà, che descriveva con una precisione maniacale e beffarda. Il suo approccio al racconto del quotidiano si rivelava un potente strumento per non lasciarsi sopraffare dalla banalità della vita. Non si rassegnava a rendere accettabili le sofferenze che tormentano mente, cuore e anima.
Sei anni fa, il suo romanzo "Works" è passato quasi inosservato, come una meteora brillante nel panorama culturale italiano. Einaudi ha deciso di ripubblicarlo, in omaggio alla memoria di Trevisan, arricchendolo con un testo inedito, "Dove tutto ebbe inizio", che si presenta come un’analisi spietata e cristallina della nostra epoca e delle esperienze che abbiamo vissuto. È un contributo letterario di straordinaria forza da parte di un intellettuale italiano.
"Works" continua a sorprendere ed emozionare, anche dopo letture ripetute. È una fonte inesauribile di storie che catturano con precisione implacabile la vita di un giovane uomo. Un ragazzo di provincia che intraprende la scrittura mentre affronta il mondo del lavoro.
Il protagonista, alter ego di Vitaliano Trevisan, si sposta da un cantiere all’altro, attraversando un panorama di attività produttive. Dalla fatica con la malta alla creazione di disegni per mobili, il suo viaggio porta alla luce un Veneto dove il lavoro è una vera e propria religione. Qui, guadagnare denaro è paragonato a recitare preghiere in chiesa e la diffusione della droga è tollerata, purché non interferisca con l’obbligo di essere puntuali e di mantenere le apparenze.
Pochissimi romanzi italiani hanno la potenza dirompente di "Works". Trevisan affronta senza timori le ipocrisie e le falsità di una società che non riesce a liberarsene. Il suo alter ego è coinvolto nel consumo e nello spaccio di droga, e Trevisan non esita a sostenere che prostituirsi può essere un lavoro come un altro, se scelto liberamente. Non si tira indietro nemmeno quando sottolinea che gli incidenti sul lavoro non sono semplicemente sfortunati, ma sono il risultato di un sistema che costringe le persone a vivere nel rischio quotidiano.
In "Works", il lavoro diventa una condanna per l’uomo, un fardello da sopportare qui e ora, senza alcuna certezza di una vita oltre questa. Tuttavia, trovare un’occupazione e guadagnare è anche un obbligo, per non essere emarginati dalla comunità e per non trasformarsi in un’entità invisibile.
Attraverso una vita segnata da lavoro, sogni infranti, delusioni e tradimenti, Trevisan rifiuta ogni forma di opportunismo e non sceglie mai la via del quieto vivere. In "Works", critica apertamente intellettuali e scrittori, rivelando che la sua scrittura è stata guidata da un profondo senso di malinconia e solitudine.
Il Veneto di "Works" è lontano dalle commedie di Goldoni; nelle parole di Trevisan, diventa un baratro umano, devastato dall’industrializzazione e dalla ricerca del profitto, che ha distrutto la politica e desertificato i rapporti sociali.
Forse l’aspetto più inquietante e affascinante del libro è che Trevisan non offre mai consolazione ai suoi lettori. Per quasi 700 pagine, non cede mai alla tentazione di alleggerire il peso di un mondo che ha osservato da vicino, fino a giungere al punto di non farcela più.
Vitaliano Trevisan, scrittore dalla lucidità feroce e dall'ironia tagliente, non concedeva sorrisetti compiaciuti, ma stimolava feroci ghignate. Osservatore implacabile della realtà, la descriveva con maniacale e beffarda precisione, usando il racconto minuzioso del vivere per evitare la palude della quotidianità. Rifiutava la facile condivisione di ciò che strazia mente, cuore, anima e viscere.
Sei anni dopo la sua apparizione come meteora sottovalutata nel panorama culturale italiano, Einaudi ripropone "Works" (696 pagine, 22 euro), in seguito alla scomparsa dell'autore. All'opera si aggiunge un testo inedito, "Dove tutto ebbe inizio", il più spietato e limpido affondo sulla realtà italiana mai scritto da un intellettuale.
"Works" è un libro che non smette di sorprendere, emozionare e stupire, anche a ripetute letture. È una miniera inesauribile di storie sulla vita di un giovane che si avvicina al mondo del lavoro in una provincia veneta, alter ego dello stesso Trevisan. Dal cantiere agli uffici, dal lavoro manuale alla progettazione asettica, il protagonista svela un Veneto in cui il lavoro è religione, il guadagno una liturgia, e la droga un'abitudine tollerata, purché non interferisca con la puntualità e il buon decoro pubblico.
"Works" possiede una forza dirompente, smaschera ipocrisie e falsità sociali senza tentennamenti. Trevisan affronta senza reticenze il consumo e lo spaccio di droga, la prostituzione come lavoro scelto liberamente, e la tragica realtà degli incidenti sul lavoro, non come sfortuna, ma come conseguenza di un sistema che costringe gli individui a condizioni pericolose.
Il lavoro in "Works" è una condanna terrena, un obbligo fisico e metafisico per non finire ai margini. Attraverso una vita scandita da lavoro, sogni infranti, amicizie tradite e delusioni, Trevisan non cede all'opportunismo né al quieto vivere. Nomina intellettuali e scrittori, confessando che la sua scrittura nasce dalla melanconia, dallo straniamento e dalla solitudine: "Disperazione, è per questo che scrivo".
Il Veneto di Trevisan è lontano dalle commedie goldoniane: un baratro umano devastato dall'industrializzazione, dove la politica è corrotta, i rapporti sociali desertificati, il territorio umiliato. L'aspetto più inquietante e bello del libro è la totale assenza di consolazione: per quasi 700 pagine, Trevisan non concede sconti a un mondo che ha osservato troppo da vicino, fino a non poterne più.
Location:
Un piccolo spogliatoio di un’arena di boxe, con luci al neon che illuminano il posto in modo freddo. Le pareti sono decorate con poster di pugili famosi e frasi motivazionali. Ci sono panche di legno, armadietti metallici e un grande specchio incrinato. Sul pavimento, i segni lasciati da guantoni e scarpe da boxe.
Costumi:
- Attrice: Pantaloncini corti neri, top da boxe rosa scuro e guantoni da boxe rosa. I capelli sono raccolti in una coda alta e il trucco è leggero, ma gli occhi riflettono la sua frustrazione.
- Regista: Abbigliamento casual ma elegante, con jeans neri e una maglietta bianca. Ha un atteggiamento assertivo e sicuro di sé.
PRIMO ATTO: Monologo dell'Attrice
(Luce su di lei mentre è seduta su una panca, con le mani appoggiate sulle ginocchia. Sospira profondamente e guarda il pavimento.)
Attrice:
(parla a se stessa, la voce carica di emozione)
"Che cosa ci faccio qui? È come se indossassi una maschera, un costume che non mi appartiene. Guantoni rosa, pantaloncini corti... Eppure, in questo spogliatoio, tra le ombre delle luci al neon, mi sento nuda. Questa battuta... questa dannata battuta! Non posso credere che la regista non veda quanto sia sbagliata. Non è solo una parola, è un concetto. È il cuore dello spettacolo!
(Si alza e comincia a muoversi nervosamente, gesticolando con le mani.)
"Vitaliano Trevisan... lui avrebbe capito. Lui ha lottato contro l'ignoranza, ha sfidato la mediocrità. E io? Mi fanno recitare come se fossi un personaggio da un reality show. Ma io non voglio essere un cliché!
(Fa una pausa, cerca di calmarsi, appoggiando le mani sulle pareti dello spogliatoio.)
"Respira. Respira... Ma come posso? Da quanto tempo non lavoro? Non posso permettermi di abbandonare questo spettacolo, ma è giusto ridicolizzare chi ha combattuto per qualcosa di più?
(Si avvicina allo specchio, si guarda intensamente.)
"Misogeno, maschilista, sessista... Vitaliano era tutto questo, ma era anche un guerriero. Un corpo a corpo continuo con se stesso, con le parole. E io? Posso mai essere all’altezza?"
(Si ferma, si passa una mano tra i capelli e si lascia andare su una panca. Luci che si sfumano.)
SECONDO ATTO: Dialogo tra l'Attrice e la Regista
(La regista entra nello spogliatoio. L’attrice è ancora seduta, le guantoni da boxe appoggiati sulle ginocchia.)
Regista:
(con tono autoritario)
"Perché sembri così tesa? È solo una battuta, e tu la reciterai com'è. Per favore, fidati del mio testo!"
Attrice:
(alza lo sguardo, visibilmente frustrata)
"Ma non funziona! Quella frase è riduttiva! La mia interpretazione deve essere autentica, non posso essere solo una marionetta!"
Regista:
(si avvicina, incrociando le braccia)
"Non è questione di autenticità, ma di rispetto per il lavoro che abbiamo fatto. Trevisan non avrebbe mai permesso che cambiasse il suo testo."
Attrice:
(si alza, cominciando a camminare nervosamente)
"Ma Trevisan ha lottato contro tutto, e ora ci stiamo riducendo a una versione edulcorata di lui! Questo spettacolo deve essere sovversivo, non mainstream!"
Regista:
(con fermezza)
"Il pubblico ha bisogno di un messaggio chiaro. Non possiamo perderci nei dettagli."
Attrice:
(fermandosi di colpo, guardando la regista negli occhi)
"Ma il messaggio non deve essere chiaro a spese della verità. E se non siamo noi a combattere per la verità, chi lo farà?"
(La regista resta in silenzio, visibilmente colpita. L’attrice, respirando profondamente, si volta verso lo specchio.)
TERZO ATTO: Riflessione Finale
(L’attrice è di nuovo seduta, ora con un’aria più calma, ma determinata. La regista è in piedi vicino alla porta.)
Attrice:
(riflettendo ad alta voce)
"È strano come questa lotta possa sembrare tanto personale. Mi sento come se stessi battagliando con me stessa. Ma forse, devo abbracciare questa confusione. Troverò il mio modo di combattere, con le parole e con il corpo.
(Si alza, indossa i guantoni da boxe e si guarda nello specchio con determinazione.)
"Se non posso cambiare il testo, allora cambierò il modo in cui lo recito. Non sarò solo un'attrice in uno spettacolo, ma una guerriera. E questa battaglia, anche se piccola, è la mia."
(La regista la osserva, il suo volto si addolcisce, come se stesse comprendendo la passione dell’attrice.)
Regista:
(con un sorriso)
"Va bene. Proviamo. Mostrami come combatti."
(L'attrice sorride, il suo sguardo è ardente mentre si prepara a combattere non solo con il corpo, ma con le parole. Luci che si abbassano lentamente, lasciando solo il suono del respiro dell’attrice.)
FINE